C’è un mercato che può dire grazie ad Alexis Tsipras. La borsa cinese, infatti, dopo una settimana di passione a cavallo tra fine giugno e i primi di luglio – nelle ultime tre settimane il mercato ha bruciato circa 2.800 miliardi di capitalizzazione con uno stop a un rialzo del 150% – è rimbalzata verso l’alto il 6 luglio, il giorno del giudizio greco, mentre l’Europa affondava sotto i colpi della Grecia: il bilancio è pesante, visto che nel complesso i mercati europei hanno perso lunedì 6 luglio qualcosa come 100 miliardi di valore (-1,24% lo Stoxx Europe 600). Ma l’euforia cinese è durata poco. Tutte le Borse cinesi, compresa quella di Hong Kong, contagiata dal panico che ha travolto Shanghai e Shenzhen nella Repubblica Popolare Cinese, hanno chiuso in ribasso l’8 luglio nonostante gli interventi e le promesse delle autorità, che hanno cercato di sostenere il mercato. Ma perché si è arrivati a parlare di bolla sulla Cina?

Per capirlo bisogna tornare indietro a novembre dello scorso anno quando, dopo anni di isolamento, l’autorità del mercato ha deciso di aprire la Borsa agli investitori privati. Il progetto di apertura è partito da Hong Kong ed è arrivato a Shanghai (collegamento già operativo) con l’obiettivo di arrivare a Shenzen (entro la fine dell’anno). Questo ha portato i grandi investitori a credere sempre di più in queste Borse anche in vista dell’ingresso nel Msci inserirà delle azioni cinesi di classe A nel suo indice dedicato ai Paesi in via di sviluppo (Msci EM). L’ingresso è previsto entro il 2017 e non è un fatto di poco conto: si tratta del restyling del benchmark più utilizzato da chi opera nei mercati emergenti che tra l’altro, in futuro, includerà anche il mercato azionario dell’Arabia Saudita. Per Fidelity Worldwide Investment, l’estensione del programma Stock Connectalla Borsa di Shenzhen e la prospettata inclusione delle A-Share negli indici Msci sono fattori che potrebbero innescare un nuovo rally di questa tipologia di titoli.

Intanto però nelle ultime tre settimane le Borse di Shanghai e Shenzhen hanno perso rispettivamente il 28,6% e il 33,2% e per fermare l’emorragia i principali broker cinesi, tra cui Citic Securities, Haitong Securities e Guotai Junan Securities hanno annunciato di aver creato un fondo da 120 miliardi yuan (19,3 miliardi di dollari) da investire nel mercato azionario cinese e cercare di arginare il crollo delle quotazioni. Basterà? La mossa dei fondi è arrivata dopo che sono falliti i tentativi della banca centrale cinese che ha tagliato i tassi di interesse per quattro volte da novembre 2014, riducendoli dello 0,25%, oltre ad aver abbassato i requisiti di capitale per alcune banche. C’è chi grida a un complotto speculativo che ha portato ben 28 gruppi a rinunciare ad Ipo già avviate.

Secondo il giornale cinese Financial News, il crollo delle borse sarebbe il frutto di un attacco speculativo della banca d’affari statunitense Morgan Stanley colpevole di aver recentemente rivisto al ribasso le previsioni per la Borsa di Shangai. Quello che preoccupa sono i tentativi di raffreddamento da parte del governo di Pechino che sono andati a vuoto. Non a caso l’8 luglio il governo ha ordinato alle compagnie statali di comprare azioni, ha aumentato la quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare e ha promesso di continuare a fornire liquidità a credito agli investitori.

IDEE DI IVESTIMENTO

Il rallentamento dell’economia cinese è un fatto e, secondo quando ha riportato il Financial Times, gli investitori globali temono che il crollo di Shanghai e Shenzhen possa destabilizzare ulteriormente, accentuando il rallentamento. Per Craig Botham, Emerging Markets Economist di Schroders, il rischio è concreto: “Nel complesso, i mercati azionari in calo presentano un vero rischio per i tentativi di ribilanciamento e rifinanziamento dell’economia e un ostacolo concreto sulla strada verso l’obiettivo di crescita del Pil del 2015, al 7%, come si deduce dal sempre crescente intervento del Governo nell’economia” ha detto il gestori rigiardo ai rischi legati alla potenziale bolla del mercato azionario.

Ma com Tra questi c’è Daniele Mellana, responsabile per l’Italia di East Capital. “Il recente ritracciamento del mercato domestico cinese ha riportato l’indice Shanghai A shares sui valori di fine marzo. Non crediamo si tratti di una vera e propria bolla perché in termini valutativi, sulla media degli ultimi 10 anni, il mercato domestico cinese esprime lo stesso rapporto prezzi/utili di 17, quindi in linea coi maggiori indici quali l’S&P 500 e l’Euro Stoxx 600” ha scritto in un report subito dopo i crolli. Certamente ci sono valutazioni estreme in società nel segmento small & mid caps che presentano multipli elevatissimi in termini di rapporto prezzi/utili, ma la Cina resta sempre il secondo mercato più capitalizzato al mondo e il tema dell’inclusione nell’indice MSCI Emerging markets – la Cina potrebbe arrivare ipoteticamente a rappresentare quasi il 20% di questo indice – è un buon viatico per la ripresa del mercato.

Per attutire il rischio e diversificare il portafoglio è bene puntare su fondi che investono anche nella cosiddetta “Grande Cina” che comprende anche i listini di Hong Kong e Taiwan. Ecco quali sono i migliori da inzio anno (categoria Morningstar: Azionari Grande Cina):

  • UBS (Lux) Equity Fund – Greater China (USD) P-acc che rende il 29,2% da inizio anno e ha una gestione attiva del portafoglio con analisti dedicati alla ricerca dei titoli ad alta crescita. Ha un’esposizione prevalente sul mercato di Hong Kong.
  • NN (L) Greater China (ex Taiwan) Classe X che con un approccio molto diverisificato rende da gennaio il 24,61%. Tecnologia e finanza sono i due settori più pesanti e compongono quasi il 50% del portafoglio investito.
  • Vitruvius Greater China Equity Classe B Usd che da gennaio rende il 22,6% e punta molto su tecnologia, beni di consumo e finanza.
  • Pictet – Greater China Classe R Eur che da gennaio rende il 22,03% ha come primo settore di investimento la tecnologia e utilizza strumenti derivati a copertura del rischio di portafoglio.
  • Threadneedle (lux) Greater China Equities Classe Du che rende il 21,8% e ha la finanza come primo settore in portafoglio. Il fondo ha un approccio “top down”: il gestore identifica i Paesi più interessanti all´interno della regione basandosi sulle aspettative circa tassi di crescita relativa, tassi di interesse e valutazioni di mercato.

Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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