Il primo semestre del 2025 si è chiuso con un panorama che più che una fotografia somiglia a un collage: brillante in certi angoli, opaco e sbiadito in altri. La dispersione tra asset class è estrema, segno di una fase storica in cui la macroeconomia non detta più una linea condivisa, ma apre una moltitudine di narrazioni divergenti.

Commodity: rame, oro e argento prendono la scena

Sul fronte delle commodity, i metalli si prendono la scena con una verve che non si vedeva da tempo. Il platino segna un poderoso +48%, mentre rame, oro, argento e palladio viaggiano in un intervallo tra +22% e +26%. È un rally che mescola più ingredienti. Il ritorno dell’attenzione verso le filiere industriali, l’eco della transizione energetica, e una certa frenesia speculativa che si riaffaccia, magari con meno clamore, ma con pari intensità.

In controtendenza, le fonti energetiche appaiono smorzate. Il petrolio Brent cede l’11%, il gas naturale si contrae tra il -5% e il -7% a seconda della rilevazione. In mezzo, l’agricoltura esibisce una schizofrenia narrativa: se l’olio di soia vola (+30%) e avena e legname registrano progressi a doppia cifra, cacao (-23%), zucchero (-16%) e farina di soia (-13%) restituiscono l’immagine di un ripiegamento post-bolla. Il caffè, con un -6%, sembra invece galleggiare nella mediocrità, senza una direzione definita. Un quadro dunque polarizzato, in cui il sottostante è meno la crescita sincronizzata e più un rimescolamento di aspettative tra paure deflattive e scommesse da inflazione a lungo termine.

Valute: l’euro domina la scena

Sul piano valutario, l’euro sembra recitare il ruolo del dominatore, ma si tratta più di una messinscena che di una reale leadership. I guadagni sono clamorosi contro l’Argentina (+30%) e la Turchia (+28%), ma il palcoscenico qui è truccato da inflazioni fuori controllo e politiche monetarie incongrue. L’euro si rafforza anche sul dollaro (+13%), sul dong vietnamita (+16%) e su gran parte delle valute emergenti, ma in molti casi più per demerito altrui che per merito proprio.

Dove il confronto si fa più serio, le performance si smorzano. Contro il franco svizzero, lo yen e il real brasiliano il bilancio è piatto o negativo. Il calo sul rublo russo (-22%) è l’unico caso in cui la logica macro si arrende alla geopolitica e ai mercati chiusi. In sintesi: più che una moneta forte, l’euro è una moneta meno debole in un sistema in cui le certezze sono evaporate insieme ai tassi reali positivi.

I listini azionari raccontano una storia a metà tra rinascita e disillusione

In Europa, il ritorno degli investitori su piazze periferiche genera rally sorprendenti. Atene (+27%), Madrid (+21%), Vienna (+21%) e Francoforte (+20%) guidano la riscossa, seguite dal FTSE MIB (+16%), che finalmente sembra essersi scrollato di dosso la patina di immobilismo.

All’estremo opposto, l’Asia delude senza mezzi termini. Bangkok sprofonda (-22%), Taipei (-4%) e Kuala Lumpur (-7%) lasciano sul terreno quanto raccolto a fatica negli anni scorsi. Anche Tokyo e Shanghai, con guadagni modesti intorno al +1-3%, segnalano un Oriente in fase di transizione fragile e tutt’altro che compiuta.

Gli Stati Uniti si muovono in un limbo: il Nasdaq sale dell’8%, l’S&P 500 si ferma a un +6%, il Dow Jones a un tiepido +4%. Il momentum è debole, l’euforia intorpidita da utili aziendali sotto tono e da politiche monetarie che, pur meno aggressive, non lasciano ancora spazio a un allentamento deciso.

Il primo semestre dell’anno ha messo a dura prova l’universo del risparmio gestito

A fronte di mercati che, seppur in modo selettivo, hanno regalato performance interessanti, la risposta dei fondi comuni è stata timida, talvolta deludente, spesso disallineata. Una sottoperformance tanto diffusa quanto difficile da giustificare, se non con l’eterna zavorra della gestione in ritardo rispetto ai prezzi.

  • Nel comparto azionario, il continente europeo sorprende ancora, ma con sfumature. I fondi focalizzati sull’Europa periferica emergente segnano guadagni consistenti: Europa emergente ex Russia (+23%), Austria (+25%), Paesi iberici (+21%), Italia Value (+20%). Ma il resto del panorama è più opaco: l’area euro core fatica a superare il +10%, e le strategie Small e Mid Cap si accontentano, quando va bene, di un modesto +9-11%. Il Regno Unito resta un caso a parte, stretto fra Brexit residuale e narrativa value depressa.
  • Il mondo emergente, invece, offre prestazioni più contenute e frammentarie. Il Brasile fa bene (+17%), l’America Latina tiene (+16%), l’Africa galleggia (+4%), ma Cina (+1%) e India (-10%) rappresentano una vera spina nel fianco per molti gestori. Il disastro dell’Asia Pac è quasi sistemico: la sola eccezione è la Corea (+29%), mentre tutto il resto si aggira tra il pareggio e ribassi spesso superiori al -5%.
  • I fondi globali sui mercati sviluppati si muovono sotto il radar (+3% circa), quelli sui mercati emergenti addirittura retrocedono (tra -1% e -3%). Il comparto USA è la nota più dolente: quasi tutte le strategie, value o growth, large o small, segnano rendimenti negativi, spesso compresi tra -5% e -14%.
  • Nell’universo dei fondi tematici, si salva solo chi ha avuto l’ardire (o la fortuna) di puntare su metalli preziosi e minerali: +37% per la versione base, quasi +40% per la versione con copertura in euro. Il resto del comparto, come spesso accade, si comporta da decorazione più che da asset strategico: bene il Fintech europeo (+15%) e la finanza tradizionale (+21% in Europa, +5% globale), ma male (spesso malissimo) tutto ciò che ha il sapore dell’innovazione narrativa. Intelligenza artificiale, robotica, biotecnologie, energie alternative: tra -4% e -13%. Una débâcle che smaschera la distanza tra storytelling e pricing power reale.
  • Gli ESG reggono meglio del previsto, soprattutto in Europa (+9% circa), ma con un’evidente perdita di trazione nei mercati sviluppati extra-europei e in quelli emergenti. Il greenwashing non basta più a giustificare i TER.
  • Sul fronte obbligazionario, il semestre ha offerto un sollievo selettivo, ma ancora lontano da una piena inversione di tendenza. I migliori interpreti sono le divise nordiche (Corona svedese +5%, norvegese +3%) e i convertibili in euro (+7%). Buona la tenuta degli obbligazionari emergenti in valuta forte (+5%), ma resta il nodo delle duration lunghe e delle valute deboli: USA lungo termine -7%, inflation linked -4%, globale in dollari -9%.
  • Il credito europeo recupera terreno, ma senza entusiasmare: Investment Grade e High Yield intorno al +2%, convertibili quasi piatti. Deludono i ritorni assoluti (in teoria decorrelati): flat nella versione euro, negativi a doppia cifra in quella globale. I fondi monetari in euro si fermano a un modesto +1%, mentre quelli in dollari addirittura perdono terreno (-10%).

IDEE DI INVESTIMENTO

Il primo semestre del 2025 ha messo in evidenza quanto il contesto attuale richieda al risparmio gestito una sensibilità più fine, una maggiore capacità di lettura trasversale e una gestione del rischio che non può fondarsi unicamente su correlazioni storiche o modelli lineari: in un mondo in cui le dinamiche di mercato sono frammentate, disallineate e talvolta controintuitive, la gestione attiva è chiamata a ridefinire le proprie metriche di efficacia. Non più semplice allocazione per area o stile, ma costruzione di portafogli capaci di integrare segnali deboli, trend di medio periodo e soprattutto discontinuità.

Se la prima metà dell’anno ha visto una certa difficoltà a intercettare i segmenti più performanti, è altrettanto vero che proprio l’eterogeneità degli andamenti offre, per il futuro, un terreno ideale per il ritorno dell’alpha selettivo. Un terreno forse meno adatto all’approccio passivo e molto più favorevole a chi sappia coniugare visione macro, analisi bottom-up e disciplina gestionale.

Il secondo semestre si presenta come un banco di prova importante. Per il gestore attivo, non è il momento del disincanto, ma della riconquista con la consapevolezza che, in uno scenario globale sempre più complesso, il valore della gestione si misura soprattutto nella capacità di scegliere

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NOTE

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Autore

Monica Zerbinati

Monica Zerbinati

Competenze:
Analista finanziario presso l’Ufficio Studi di FIDA, Finanza Dati Analisi, è specializzata su temi legati al risparmio gestito, attivo e passivo, sul quale cura diversi studi periodici. Le competenze generali riguardano l’analisi di scenario dal punto di vista quali-quantitativo. Cerca di individuare tendenze e semplificare la complessità delle dinamiche di mercati finanziari e reali, combinando analisi macroeconomica, tecnica e fondamentale. Segue inoltre l’evoluzione della normativa in ambito finanziario con particolare focus sulla compliance nell’ambito della consulenza finanziaria. Ha competenze generali su database ed elaborazione dati, produzione di materiale di marketing ed interazioni tecnico-commerciali.

Esperienza:
Al netto di alcune esperienze giovanili in realtà industriali e bancarie, contestuali agli studi, la sua esperienza lavorativa è maturata interamente in FIDA, all’interno della quale – negli anni – ha avuto occasione di collaborare ad ogni genere e tipologia di attività. Data entry, strutturazione banche dati, elaborazioni quantitative, redazione di contenuti editoriali di taglio customizzato e reportistica specifica, supporto nello sviluppo di nuovi tools informatici per operatori della finanza, ma anche assistenza clienti, formazione, organizzazione di campagne informative ed eventi. Gli obiettivi sono molteplici e spaziano dall’integrazione di dati e strumenti informatici a supporto degli operatori della finanza nello svolgere la loro professione, nell’espletamento degli obblighi normativi, ma anche fini filantropici come la diffusione dell’educazione finanziaria.

Formazione:
Ha una laurea magistrale in Finanza Aziendale e Mercati Finanziari conseguita presso la Scuola di Economia e Management di Torino.

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