Il bilancio del mese di luglio è particolarmente ricco di spunti operativi e di riflessioni interessanti. Tra i grandi protagonisti delle ultime settimane spiccano senz’altro le principali banche centrali, prima tra tutte le Bce, con Mario Draghi in prima fila nel portare avanti la sua missione all’insegna della prudenza. Proprio questo mese ricorreva il quinto anniversario del celebre discorso “whatever it takes”, che nonostante abbia dato i suoi frutti, pare non essere ancora giunto al capolinea.

Nel corso dell’ultima riunione del consiglio direttivo, tenutasi giovedì 20, si è deciso di mantenere il programma di politica economica così come già stabilito, senza apportare variazioni al Quantitative easing, né tantomeno ai tassi. Memore di quanto avvenuto a giugno a Sintra, il governatore si è premurato di ricordare che se le prospettive dovessero diventare meno favorevoli o se le condizioni finanziarie non dovessero essere in linea con gli ulteriori progressi verso un adeguamento sostenibile nel percorso dell’inflazione, la Banca è pronta ad ampliare il programma di acquisto di asset in termini sia di dimensione che di durata.

Dall’altro lato dell’Atlantico mercoledì 26 anche la Federal Reserve ha deciso di non toccare i tassi (che rimangono tra l’1 e l’1.25%) ed ha confermato un rialzo graduale, annunciando inoltre che presto inizierà la riduzione del bilancio, esploso con la crisi a 4.500 miliardi di dollari. Qualcuno ipotizza che il processo di riduzione del bilancio possa iniziare già in settembre, anche se resta l’incognita dell’inflazione, che ad oggi si colloca su livelli moderati. Non è ancora stato raggiunto l’obiettivo del 2%, condizione necessaria affinché anche le “colombe” approvino le manovre restrittive di normalizzazione. Rimane aperta anche la possibilità di un rialzo dei tassi a dicembre (sarebbe il terzo del 2017), ma solo dal 35% del panel degli economisti è pronto a scommetterci.

Brasile, Norvegia e Italia protagoniste del mercato estivo

La combinazione dei due eventi ha contribuito a far volare l’Euro, che quota ormai attorno a 1.175 dollari. Per vedere gli stessi livelli dobbiamo guardare a gennaio 2015.

Anche il Brasile fa parlare di sé. Mercoledì 26 la Banca centrale brasiliana ha tagliato il tasso di interesse portandolo al 9,25%. Il costo del denaro scende sotto 10% per la prima volta dal novembre del 2013. Si tratta del settimo taglio da ottobre scorso che conferma la strategia di stimolo monetario. Gli analisti si aspettavano un’ulteriore riduzione, ma probabilmente di dimensioni minori. Anche qui la tendenza al ribasso trova ragione nel calo dell’inflazione: solo due anni fa l’indice dei prezzi al consumo in Brasile cresceva ad un ritmo superiore al 10%, per poi scendere fino al 2,78 per cento, il livello più basso da circa diciannove anni.

Grandi notizie dalla Scandinavia, dove la Norvegia ha conquistato un grande traguardo, quello di avere dimezzato la dipendenza dell’economia nazionale dal petrolio. Con esclusione del Medio Oriente, il Paese presenta le estrazioni di greggio e gas più elevate: nel 2012 pesavano per il 22% del Pil mentre oggi arrivano a contare per il 12%. Come intuibile, il crollo delle quotazioni dell’oro nero ha fatto la sua parte, ma la Norvegia ha saputo ben gestire il ridimensionamento di una delle sue più grandi ricchezze attraverso il fondo sovrano (alimentato proprio dagli introiti del greggio), utilizzato dal governo per attuare un efficacie piano di stimoli fiscali a sostegno della crescita.

Tra le star del mese troviamo anche l’Italia, con il FTSE Mib in rialzo di oltre il 4%. L’indice quota ora attorno ai 21400 punti, non lontano dai massimi relativi di metà maggio. Si conferma quindi una tendenza di medio periodo decisamente positiva per l’azionario del Bel Paese, che in un anno è avanzato di circa il 30%. Alla base del rally possiamo individuare la risoluzione dei problemi che hanno afflitto le banche venete e MPS, e dati confortanti sul PIL e sulla produzione industriale. Non dobbiamo però dimenticare che perdurano diversi fattori di rischio, come ad esempio la disoccupazione, tra le peggiori in Europa, oltre alle incertezze di natura politica, che potrebbero ripercuotersi sui listini con l’avvicinarsi delle elezioni del 2018.

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Note

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Luca Lodi

Luca Lodi

Competenze:
Head of R&D di FIDA, Finanza Dati Analisi, ha maturato competenze in quantitative finance, risk management, asset allocation, risparmio gestito, compliance, consulenza finanziaria e comunicazione. Coordina le attività di ricerca-sviluppo e formazione del gruppo (FIDAmind). Sviluppa metodologie quantitative per l'analisi di portafoglio, di strumenti e mercati finanziari.

Esperienza:
Coordina l’ufficio studi FIDA che realizza studi ed analisi ad ampio spettro utilizzando trasversalmente metodologie quantitative, tecniche e fondamentali. Docente presso l'Università di Torino (Scuola di Management ed Economia), si occupa di analisi quantitativa dei dati finanziari. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate editoriali.
Negli anni precedenti ha collaborato con ADB S.p.A come responsabile del settore Banche Dati e poi dell’Ufficio Studi.

Formazione:
Ha una laurea in Economia. Ha frequentato diversi corsi di specializzazione tra i quali “Global Asset Allocation” (SDA Bocconi), Frontiers In Fianancial Markets Mathematics (Università di Bologna).

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