Per risparmio gestito si intende la quota di accantonamento personale affidata dal risparmiatore ad uno o più gestori professionali che provvedono ad amministrare le risorse loro conferite nell’ambito di un mandato ricevuto.

Il risparmio gestito è probabilmente la prima forma di investimento finanziaria davvero collettiva e democratica. Per sua natura il risparmio gestito racchiude tutti gli strumenti di investimento e i prodotti di risparmio attraverso i quali un investitore affida il proprio denaro a intermediari come banche, società di gestione del risparmio (SGR), promotori finanziari o assicurazioni per essere investiti. Dove? I risparmi sono suddivisi in tanti strumenti e mercati diversi, secondo una diversificazione che tiene conto: del rischio che il cliente può sopportare; degli obiettivi dell’investimento.

Ecco cosa imparerai sul risparmio:

Risparmio gestito o amministrato?

Il risparmio gestito è spesso confuso con il risparmio amministrato.

Nel regime del risparmio amministrato l’investitore affida i propri risparmi in deposito a un intermediario, generalmente attraverso un contratto di amministrazione e custodia, senza tuttavia delegarne la gestione.

Viene infatti delegata all’intermediario solo la parte fiscale, cioè il calcolo della base imponibile per determinare plusvalenze e minusvalenze da sottoporre a tassazione. Le plusvalenze (in inglese, capital gain) sono in parole semplici i guadagni realizzati con la vendita rispetto al prezzo d’acquisto mentre, al contrario, le minusvalenze (in inglese, capital loss) sono le perdite rispetto al prezzo di acquisto.

Regime fiscale del risparmio gestito

Se si sceglie il regime fiscale del risparmio gestito, invece di quello amministrato, all’intermediario si delega sia la gestione dell’investimento, sia gli adempimenti fiscali. Il vantaggio di questo regime fiscale è che si possono compensare le plusvalenze e le minusvalenze.

Questa compensazione si effettua l’ultimo giorno di ogni anno. Questo significa che se il portafoglio fosse positivo nel suo insieme ma alcuni degli investimenti della gestione fossero andati in negativo, minusvalenze e plusvalenze si compenserebbero, riducendo il carico fiscale. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è del 26% per tutte le plusvalenze.

Attraverso il risparmio gestito si conferisce all’intermediario un mandato per la gestione di un portafoglio di strumenti finanziari.

È compito dell’intermediario che si occupa della gestione acquistare e vendere le diverse attività finanziarie che rientrano nella definizione di risparmio gestito e sono:

Ognuna di queste attività finanziarie, anche presa singolarmente, può essere utilizzata per costruire un portafoglio di investimento diversificato, secondo un profilo di rischio/rendimento coerente con quanto stabilito nel mandato di gestione all’intermediario.

Che cos’è il rischio/rendimento?

Ogni individuo è infatti caratterizzato da una specifica propensione al rischio finanziario, che rappresenta il livello di tolleranza individuale alla possibilità che il valore del proprio investimento possa oscillare più o meno sensibilmente nel corso del tempo.

Inoltre esiste un importante nesso relazionale tra il rischio percepito e il rendimento desiderato: si tratta della relazione rischio /rendimento.

Essa identifica l’equazione generale secondo la quale ad un maggior rischio corrisponde un maggior guadagno, ovvero che maggiore è il rischio, inteso come variabilità del rendimento di un’attività finanziaria, e maggiore sarà il rendimento nel lungo periodo.

Strumenti per il risparmio gestito

I fondi comuni d’investimento sono la più antica formula di risparmio gestito italiana: sono nati nel 1984 con la logica di costruire dei prodotti che fossero come un grande salvadanaio dove confluisce il risparmio degli investitori.

Oggi il mercato del risparmio gestito monitorato da Assogestioni ha raggiunto il massimo storico nel primo trimestre 2017 con un patrimonio gestito dall’industria delle SGR di 1.962 miliardi di euro, di cui 976 milioni in gestioni collettive e 986 in gestioni di portafoglio, e con una raccolta netta totale di 22,2 miliardi di euro.

Ultimi aggiornamenti sulla mappa del risparmio gestito

A pochi giorni dal resoconto del primo trimestre del 2017, Assogestioni ha pubblicato la mappa del risparmio gestito di aprile dove emerge che la raccolta mensile ha raggiunto i 9 miliardi di euro (+36,9 mld da inizio anno  in aumento rispetto ai 30 miliardi dello stesso periodo del 2016) e il patrimonio complessivo si attesta a 1.984 miliardi. A conquistare la fiducia degli investitori sono stati soprattutto i fondi obbligazionari (+3,4 mld), seguiti dai flessibili (+1,6 mld) e dai bilanciati (+1,3 mld). Il 2017 si è aperto quindi in forma decisamente migliore rispetto al 2016 anche per via della ripresa dei mercati finanziari che sta spingendo sempre più investitori sui fondi, in un contesto di tassi che restano ancora bassi limitando le alternative di investimento.

Secondo l’indagine Prometeia-Ipsos presentata nella prima edizione di Wealth Insights negli ultimi 3 anni le famiglie italiane hanno complessivamente investito in strumenti gestiti quasi 300 miliardi di euro mentre hanno ridotto la quota di portafoglio investita direttamente in titoli di debito. Secondo i dati di Prometeia, a fine 2019, i prodotti gestiti (fondi comuni, polizze vita e fondi pensione) dovrebbero costituire un terzo del portafoglio finanziario.

Fondi comuni di investimento

Per investire in fondi comuni non è necessario essere dei grandi esperti di finanza. La prima cosa da fare è capire quali sono gli obiettivi in un tempo determinato e il grado di rischio che si è in grado di sopportare.

Per far si che gli investitori siano maggiormente consapevoli del loro potere decisionale e imporre agli intermediari il loro obbligo di fornire indicazioni precise riguardo i prezzi dei servizi offerti e gli strumenti finanziari proposti è stato introdotto il questionario MiFID.

Il questionario MiFID è una direttiva comunitaria che regola precise norme nell’ambito degli strumenti finanziari con l’obiettivo di far nascere un mercato europeo integrato. Il questionario MiFID regola al suo interno solo alcuni prodotti finanziari come le quote di fondi d’investimento, azioni e obbligazioni. Non comprende invece i depositi e i prestiti.

Il 3 gennaio 2018 entrerà in vigore la MiFID II, che rivede e amplia la versione precedente (MiFID) in materia di prestazione dei servizi di investimento, tutela degli investitori retail, definizione dei servizi di consulenza indipendenti e adeguatezza della comunicazione.

In questa valutazione è utile rivolgersi a un consulente finanziario che siano in grado di selezionare i migliori prodotti sul mercato italiano. La selezione dei prodotti può avvenire anche attraverso piattaforme di robo advisor (robo box) che sono pensate per selezionare i fondi comuni più redditizi in base alle esigenze del risparmiatore.

Infine prima di procedere all’investimento in fondi è bene prendere visione dei costi, del benchmark di riferimento e della tassazione. Queste informazioni sono riportate dalla società di gestione all’interno dei documenti ufficiali d’offerta: il Kiid, il Rendiconto e il Prospetto. In particolare il benchmark è un parametro di riferimento che permette al risparmiatore di valutare la gestione di un fondo il suo livello di rischio e deve essere esplicitamente indicato dal gestore dei fondi.

Piani di accumulo

Per investire in un fondo comune non c’è bisogno di possedere grandi capitali; infatti lo si può fare anche a rate con un piano di accumulo (PAC). I piani di accumulo del capitale permettono quindi al risparmiatore di investire in fondi attraverso versamenti periodici di capitale, somme costanti da lui definite, a scadenze regolari e per un periodo di tempo predeterminato.

Così facendo il capitale investito dal risparmiatore, in termini complessivi, cresce in modo graduale e garantisce un risparmio nel tempo. L’investimento medio è 500 euro, ma ci sono fondi che accettano sottoscrizioni a partire da 50 euro.

Esempio

Un piano di accumulo con versamenti mensili da 100 euro per 120 mesi complessivi porterà a fine dei 10 anni del piano a ritrovarsi con un capitale complessivo di 12.000 euro. A questo capitale andranno aggiungi anche gli interessi o le cedole – o più in generale l’apprezzamento in conto capitale – dello strumento in cui si è investito. A fine piano il valore di carico di ogni quota nel portafoglio dell’investitore sarà pari alla cifra investita in totale divisa per il numero di quote in cui si è investito.

Matematicamente quindi un Piano di Accumulo è l’applicazione di una media ponderata (ai prezzi di ingresso) degli acquisti delle quote.

Piani individuali di risparmio (PIR)

Il mercato italiano dei fondi comuni si è allargato con una nuova formula di investimento. Si tratta dei PIR, Piani Individuali di Risparmio, che offrono una modalità di investimento esente dalle imposte su plusvalenze e successione. I Piani Individuali di Risparmio sono stati introdotti con la legge di Stabilità 2017 e hanno l’obiettivo di indirizzare gli investimenti delle famiglie a sostegno della piccola e media impresa italiana dando in cambio un’agevolazione fiscale a chi investe se si mantiene l’investimento per 5 anni fino ad un massimo di 30mila euro all’anno ed un totale di 150mila euro.

L’appeal fiscale di queste nuove soluzioni sarà uno dei driver principali a guidarne l’andamento.

L’altro elemento distintivo è la diversificazione sul segmento delle piccole medie aziende italiane verso le quali è vincolato parte dell’investimento. In sostanza, ipotizzando un investimento iniziale di 100 euro, 70 dovranno essere investiti su strumenti, emessi da imprese italiane quotate o non, che svolgono attività diverse da quella immobiliare, o anche società europee ma con stabile organizzazione in Italia.

Di questi 70 euro, almeno il 30% (quindi 21 euro sui 100) deve essere investito in strumenti emessi da imprese non appartenenti all’indice Ftse Mib della Borsa Italiana o indici equivalenti degli altri Paesi.

La somma di liquidità e strumenti diversi dalle azioni (titoli di Stato, obbligazioni e così via) potrà quindi rappresentare al massimo il 30%, mentre il peso di un singolo emittente (sommando azioni e bond) non deve superare il 10% del portafoglio (stesso limite previsto anche per la liquidità sul conto corrente).

 

Note

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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