Nel dibattito sul futuro della sigla ESG, il faro è puntato sui fondi di transizione. Ora un nuovo report di ESMA (European Securities and Markets Authority) analizza come questi fondi stanno sviluppando strategie dedicate alla transizione climatica, sostenendo imprese e settori che non sono ancora pienamente sostenibili ma che mirano a diventarlo. Vediamo cosa emerge e perché i fondi di transizione stanno diventando uno snodo cruciale per la finanza sostenibile europea.

Le tre leve dei fondi di transizione

Secondo ESMA, i fondi transizione utilizzano tre leve principali per promuovere la decarbonizzazione:

  1. Positive screening
    Investono in aziende con piani di transizione credibili, obiettivi scientificamente verificati e capitale destinato a tecnologie pulite. In pratica, non puntano su chi è già “green”, ma su chi sta diventando sostenibile. Il 64% dei fondi analizzati utilizza dati forward-looking, come i piani di riduzione delle emissioni, gli investimenti “verdi” (CapEx) e le entrate future allineate alla Tassonomia UE.
  2. Negative screening
    Vengono escluse le attività più inquinanti, con criteri di esclusione legati a performance ambientali o settori ad alte emissioni. L’obiettivo è evitare il greenwashing e mantenere coerenza con la traiettoria di decarbonizzazione europea.
  3. Engagement attivo
    È la leva più distintiva. Quasi il 90% dei fondi di transizione pratica un dialogo attivo con le imprese in portafoglio, esercitando il diritto di voto o presentando risoluzioni per spingere verso obiettivi climatici concreti. L’engagement si traduce anche in escalation: se un’azienda non mostra progressi misurabili, può essere esclusa dal portafoglio.

Per monitorare i risultati, i fondi utilizzano metriche legate alle emissioni del portafoglio, agli investimenti in attività green e all’allineamento alla Tassonomia UE. In questo modo possono verificare se la strategia genera un impatto reale e non solo “di carta”.

Cosa c’è nel portafoglio

L’analisi ESMA mostra che i fondi di transizione si distinguono nettamente dai tradizionali fondi ESG. I portafogli hanno una forte esposizione ai settori energy-intensive (industriali, materiali di base, logistica), dove la sfida della decarbonizzazione è più urgente. Questo indica un approccio proattivo: investire dove la transizione può generare il maggiore impatto futuro.

In particolare:

  • i fondi di transizione investono il 5-10% in più in settori ad alta intensità energetica rispetto ai fondi ESG;
  • hanno una quota maggiore del 3% di aziende con obiettivi Science Based Targets initiative (SbTi), ovvero obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra stabiliti secondo un metodo scientifico, in linea con l’Accordo di Parigi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi);
  • allocano più capitale in società coinvolte in soluzioni climatiche, come energie rinnovabili, tecnologie per la cattura del carbonio e innovazioni per l’adattamento climatico.

C’è però un rovescio della medaglia: l’ESMA segnala ancora criticità di trasparenza. Molti fondi non dichiarano chiaramente quali rating ESG utilizzano o quali metodologie applicano per valutare i piani di transizione delle imprese.

Per questo, in vista della revisione della SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), l’Autorità europea propone di creare una categoria specifica per i fondi di transizione, con:

  • requisiti minimi di trasparenza;
  • obiettivi misurabili e verificabili;
  • una soglia minima dell’80% del portafoglio investito in attività chiaramente orientate alla transizione.

Le opportunità per gli investitori

Il messaggio del report ESMA è chiaro: i fondi transizione stanno diventando uno strumento chiave per finanziare la decarbonizzazione industriale europea. Offrono un approccio complementare ai fondi ESG classici, permettendo agli investitori di sostenere aziende in trasformazione, non solo quelle già verdi.

Per gli investitori in fondi comuni, questa evoluzione può rappresentare:

  • un’opportunità di impatto reale, partecipando al percorso di transizione di settori cruciali come energia, trasporti e industria pesante;
  • una nuova sfida di selezione, che richiede attenzione alla qualità dei dati, alla trasparenza e alla coerenza delle strategie.

In sintesi, i fondi di transizione sono il ponte tra economia reale e finanza sostenibile: per evitare rischi di greenwashing e generare valore nel lungo periodo, serviranno standard comuni, obiettivi chiari e reporting credibile. Se ben regolati, potranno davvero cambiare il mercato ESG e accelerare la corsa dell’Europa verso la neutralità climatica entro il 2050.

IDEE DI INVESTIMENTO

Per approfondire leggi anche cosa sono e dove investono i fondi transizione.

Ecco i migliori fondi per rendimento presenti sulla piattaforma Online SIM:

  • Goldman Sachs Global Environmental Transition Equity Classe X Usd Acc è un azionario energia e materie prime che investe in società attive nel settore dell’energia con particolare riferimento a esplorazione, produzione, commercializzazione, raffinazione e/o trasporto di prodotti petroliferi e gas; attrezzature e servizi per il settore dell’energia. Partito nel 2001 rende il 24,79% a 5 anni (dati Morningstar aggiornati a novembre 2025). Beni industriali e materie prime sono i settori più rappresentati. Il 73% del portafoglio è investito in America.
  • Pictet – Clean Energy Transition Classe R Usd Si tratta di un azionario energia e materie prime che investe in maniera globale. Partito nel 2007 investe in società di tutto il mondo che contribuiscono e beneficiano della transizione a livello globale verso una produzione e un consumo di energia meno basati sulle energie fossili. Rende il 10,07% a 5 anni (dati Morningstar aggiornati a novembre 2025). Tecnologia e beni industriali sono i primi settori in portafoglio, a livello geografico il 68% è investito sull’America.
  • Invesco Energy Transition Classe A (acc) USD è un fondo azionario energia e materie prime che investe il 70% del portafoglio in grandi società petrolifere, servizi energetici, società di infrastrutture di gas naturale, società di esplorazione e produzione di petrolio e gas, nonché aziende di sviluppo di fonti energetiche alternative. Partito nel 2022 rende l’8,24% a 5 anni (dati Morningstar aggiornati a novembre 2025). Tecnologia e beni industriali sono i settori più rappresentati. Il 37% del portafoglio è investito in America, il 22% in Europa.

Scopri gli altri fondi ESG disponibili sulla piattaforma Online SIM.

Note

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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