Sporco, ingombrante e costoso. Non c’è niente di più analogico e antiquato del denaro contante, il cash per dirla all’anglosassone. Per oltre 4 mila anni monete e banconote sono state le protagoniste assolute sulla scena dei pagamenti. Adesso tocca al digitale, al denaro elettronico, che non si tocca ma circola, e che ha fatto nascere un nuovo consumatore: il cashless, che letteralmente sarebbe senza soldi, in realtà indica una persona che non usa banconote, ma non è senza denaro, semplicemente perché utilizza la tecnologia per pagare.
La cashless society è una realtà anche per la politica, perfino quella monetaria. La prova? La Banca popolare di Cina, per esempio, intende emettere una moneta digitale e anche le banche centrali in Ecuador e Filippine stanno valutando questa ipotesi. Ma non solo. I governi di Svezia, Danimarca e Norvegia hanno dichiarato da tempo che i tre Paesi intendono vietare l’uso del contante e i numeri sono già impressionanti.
In Svezia, dove è nata Spotify, la piattaforma per l’ascolto delle canzoni in streaming che sta cambiando il mondo della musica, il 99% dei commercianti accetta la carta, 4 transazioni su 5 avvengono in modalità elettronica e la moneta circolante rappresenta solo il 3% del Pil (contro una media europea de 9%).
In Norvegia, invece, il governo si è posto l’obiettivo di diventare la prima nazione cashless entro il 2020: adesso il denaro contante è usato solo dal 5% della popolazione. E in Danimarca il governo danese ha depositato una proposta di legge che, se approvata, risulterà a dir poco rivoluzionaria: eliminare il pagamento in contanti in tutto il Paese. E già adesso i negozi espongono cartelli inequivocabili: “Qui non si accetta denaro contante”.
La rivoluzione digitale nei pagamenti è una realtà anche nell’antica Inghilterra che ha imboccato la strada del cashless: secondo i dati del The Payment Council, i pagamenti in contanti nella nazione della Regina Elisabetta II valgono solo il 48% del totale dei pagamenti. E negli ultimi due anni nel Paese sono raddoppiati i fornitori di moneta elettronica, secondo l’analisi di Bovill, società di consulenza e servizi finanziari britannica.
E poi c’è l’Australia che sta facendo passi da gigante in questa direzione. A Melbourne i negozi che non accettano contante sono in costante crescita e, secondo la Westpac Bank, una delle principali banche australiane, il Paese è destinato a diventare cashless entro il 2020, anche grazie al fatto che l’80% degli australiani possiede uno smartphone ed è pronto ad usarlo per pagare.
Su questa evoluzione digitale puntano i nuovi sistemi di pagamento contactless che a un anno dal lancio americano e a un semestre dall’ingresso nel mercato inglese di Apple Pay si stanno moltiplicando.
Samsung ha lanciato il suo servizio in Corea ed entro il primo trimestre dovrebbe arrivare in Europa, prima nel Regno Unito e poi Spagna, mentre non ci sono ancora date per l’Italia anche se si parla della primavera del 2016 (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim).
Anche Snapchat è entrato nell’arena con Square Cash per ora solo nella versione per Android, che consente di mandare denaro attraverso una finestra dell’app esattamente come si farebbe per mandare un messaggio (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim). Su questa strada si sta muovendo anche Facebook: Mark Zuckerberg intende utilizzare Messenger come veicolo per i pagamenti e tenere WhatsApp per i messaggi (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim).
E in Italia? Ipotizzare una cashless society in tempi brevi è abbastanza difficile. Il limite di utilizzo del contante è stato riportato da 999 a 2999 euro. Il nostro Paese, poi, è agli ultimi posti in Europa per pagamenti elettronici. L’esempio più interessante è quello di Bergamo, premiata come cashless city, dove grazie a un progetto promosso da CartaSi con la collaborazione dei partner del mercato bancario – Mastercard, Visa, e Pagobancomat – e con il supporto dell’amministrazione comunale, i cittadini che utilizzano strumenti elettronici di pagamento vengono premiati.
L’Italia eccelle, invece, sul fronte dell’innovazione. Un esempio? Satispay, startup italiana nata dall’idea di tre trentenni piemontesi Alberto Dalmasso, Dario Brignone e Samuele Pinta, che consente con l’omonima applicazione per Android, iOS e Windows Phone di inviare soldi da uno smartphone all’altro. L’azienda ha già raccolto 8,5 milioni di euro e dopo un anno di intensa attività in Italia e importanti accordi è pronta a consolidare ulteriormente e a conquistare l’Europa.
Il sistema è innovativo perché indipendente da banche e carte di credito, si basa su una app gratuita per gli utenti privati mentre, per gli esercenti, non c’è nessun costo di attivazione o canone ma soltanto una commissione fissa minima. Una storia che, secondo il ceo dell’azienda Dalmasso, è stata possibile perché “viviamo in un mondo in cui a vincere non sono le aziende più grandi ma quelle più veloci, dinamiche e snelle e questa è la consapevolezza con cui affrontiamo le sfide che il mercato ci presenta ogni giorno” ha detto.
Tanto attivismo ha una ragione molto semplice. Secondo un’analisi di Idc Financial Insight il mercato del mobile payment, quello dei pagamenti effettuati tramite dispositivi mobili supererà i 1.000 miliardi di dollari entro il 2017 e tutti i big della telefonia ne vogliono fare parte. Ma non è solo business. La rivoluzione della società dei consumi è dietro l’angolo ed è appoggiata certamente dalla politica, ma soprattutto dalle imprese.
Il primo sostenitore della moneta elettronica, del resto, è stato Bill Gates. È sua la proposta di promuovere i pagamenti digitali nei Paesi in via di sviluppo. Il fondatore di Microsoft è sicuro che entro il 2030, due miliardi di persone che oggi non hanno un conto in banca potranno utilizzare i propri telefoni cellulari per effettuare tutti i pagamenti e contribuire, così, allo sviluppo della propria società. E se avesse ragione?
Note
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.
Nessun commento