Gli Usa sembrano pronti a spiccare il volo, ma hanno ormai poco spazio per ulteriori exploit, mentre la pachidermica Europa agonizza: altrove è però possibile cercare nuove occasioni, come ha dimostrato nel 2016 il riscatto di valute emergenti come il rublo russo e il real brasiliano.
Abbiamo da poco archiviato un anno a dir poco sopra le righe, partito quasi tragicamente e conclusosi con grande ottimismo. Questo inizio di 2017 è segnato da rallentamenti, rimbalzi e correzioni che potrebbero avere carattere duraturo o rappresentare solo pause di tendenze comunque valide. A breve la sentenza.
Iniziando l’overview dai mercati statunitensi vediamo lo S&P 500 congestionare nell’area resistenziale a 2280 punti, area dei massimi storici. Con una performance del 10% in poco più di un mese, il rallentamento non desta particolari apprensioni; tuttavia, avendo chiuso il 2016 con un +9,5% l’indice americano si trova ora all’ottavo anno di un robusto ciclo rialzista che è partito nel 2009. È quindi un imperativo non distrarsi e cercare di capire fin dove questo trend possa spingersi.
Discorso diverso in Europa, dove l’Euro Stoxx 50 a dicembre ha balzato dai 3000 ai 3330 di inizio gennaio (+11% in un mese). Il movimento ormai è stato invalidato da un canale discendente, accelerato dal discorso di Trump in occasione del suo insediamento. Scemato l’entusiasmo iniziale i risparmiatori hanno ora bisogno di indicazioni sulle politiche della nuova amministrazione: un aumento degli stimoli fiscali all’economia (cosa gradita) piuttosto che l’adozione di forme di protezionismo più o meno velate (meno gradita).
La Russia, reduce da un biennio di recessione, sta ora vivendo un periodo d’oro.
Le ragioni sono molteplici, e possiamo annoverare tra le principali la risalita delle quotazioni del petrolio (confermate recentemente dai tagli alla produzione da parte dell’Opec), le cui vendite finanziano quasi la metà delle entrate statali insieme a quelle del gas, e rappresentano i due terzi delle esportazioni.
A questo si aggiunge l’inflazione in decisa discesa, e parrebbe che la Banca di Russia possa quasi riuscire a centrare il suo target d’inflazione del 4%, obiettivo mancato dai primi mesi del 2012. All’origine del rallentamento della crescita dei prezzi c’è sempre l’apprezzamento del petrolio, che traina da tempo il rublo. Proprio la valuta russa ha chiuso il 2016 con un +17% contro dollaro (che passa da 73 a 61 rubli). A raffreddare l’inflazione in uno dei più importanti granai mondiali avrebbe giocato un ruolo di rilievo anche il buon raccolto di questa stagione, che sta abbassando i prezzi al consumo per le famiglie russe.
Non possiamo poi ricordare, in un’ottica di analisi delle principali dinamiche economiche mondiali, il fenomeno del Brasile, dove è stata da poco varata una riforma che lega i salari alla produttività, aumenta di quasi dieci anni i requisiti per la pensione e congela per un ventennio la spesa pubblica, con effetti negativi su sanità e istruzione. Il 2016 è stato il secondo anno di recessione e la Banca centrale ha ridotto le previsioni di crescita per il 2017.
La recessione, che sta per entrare nel terzo anno consecutivo, ha avuto un deciso impatto sul potere di acquisto dei brasiliani, con un calo generale delle vendite del 9%. Inevitabile la contrazione dei prezzi, anche dei generi alimentari, e dunque dell’inflazione. Anche per questo il 12 gennaio la Banca centrale ha tagliato il costo del denaro per la terza volta consecutiva, portando il tasso di riferimento dal 13,75% al 13 per cento. La riduzione di 75 punti base è la maggiore effettuata negli ultimi cinque anni e ha sorpreso gli operatori che avevano scommesso su un -0,50%. Il real brasiliano ha chiuso il 2016 con un +18,5% contro il dollaro e non si esclude che possa dare ulteriori soddisfazioni.
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