Il sostenitore numero uno dell’uscita degli inglesi dall’Unione europea si chiama Aaron Banks, imprenditore inglese, attuale chief Executive of Southern Rock Insurance Company e soprattutto cofondatore di Leave.EU, l’organizzazione che si è fatta promotrice del referendum del 23 giugno 2016. Banks, classe 1966, sposato con Ekaterina Paderina, un’aspirante modella russa, è stato a Washington per spiegare le ragioni dell’addio all’Europa che, a suo dire, è necessario per far rinascere l’economia inglese che può diventare così “cosmopolita” come sostiene da sempre l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, leader non ufficiale del fronte euroscettico, i cosiddetti Brexiters.
Tra i sostenitori dell’idea di Banks c’è Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza Americana, che si è schierato apertamente con Brexit perché: “I migranti stanno distruggendo l’Europa e bisogna starne fuori”, ha detto, con buona pace delle conseguenze economiche del gesto. Cosa accadrà al Prodotto interno lordo della Gran Bretagna, invece, preoccupa non poco il premier inglese David Cameron per il quale l’uscita dall’Ue metterebbe a rischio anche la pace in Europa.
Secondo i calcoli del quotidiano The Guardian, se Londra esce dall’Unione europea, l’industria dei servizi finanziari potrebbe perdere circa 285 mila posti di lavoro direttamente collegato al business europeo che, in gran parte, potrebbero decidere di migrare verso l’Irlanda. A beneficiarne, dovrebbe essere l’industria finanziaria tecnologica, che viaggia esclusivamente online, ma solo nel breve termine. Il settore, noto come Financial tech, impiega oltre 60.000 persone, con un fatturato di 6,6 miliardi di sterline (9,40 miliardi di dollari) nel 2015, ed è ancora molto piccolo in confronto con il settore dei servizi finanziari globale. Nessuna delle aziende del settore è abbastanza grande da aver bisogno del mercato europeo per spingere il business, mentre senza l’Ue gli operatori saranno in difficoltà, lasciando campo al Financial tech.
Uk: uscire dall’Europa vale il 3% del Pil
Non è un caso che il settore finanziario tradizionale abbia investito, e molto, per la campagna anti-Brexit. Il primato, secondo quanto ha scritto il quotidiano Financial Times, spettava a Goldman Sachs fino a quando con mezzo milione di sterline sul piatto in favore della campagna pro-Ue l’amministratore delegato di Virgin Media, Tom Mockridge, ha battuto il record della donazione da parte di una singola azienda. Mockridge, spalleggiato da Mike Fries, chief executive di Liberty Global, la holding che controlla Virgin Media, intende sottoporre la proposta di donazione ai suoi azionisti.
Liberty Global conta 37.000 dipendenti e 27 milioni di clienti sparsi in 14 Paesi, in prevalenza nell’area Ue. Nello stesso settore delle telecomunicazioni, i vertici di altri due giganti britannici, Bt e Vodafone, hanno di recente pure ammonito contro i rischi di un’ipotetica Brexit.
Il settore tlc e tech sembra avere più chiaro degli altri comparti il beneficio del mercato unico europeo. Lo ha sottolineato l’Ocse, che in un documento prevede “conseguenze avverse persistenti sull’attività economica” britannica in caso di addio all’Ue, paragonando gli effetti della Brexit a “una tassa” che potrebbe costare fino a 2.200 sterline all’anno per famiglia. Complessivamente, il Paese potrebbe perdere fino al 3,3% del Pil da qui al 2020, mentre nel 2030 la perdita dovrebbe salire al 5,1% di Pil, con un costo di 3.200 o di 5.000 sterline per famiglia, ai prezzi di mercato attuali.
L’impatto economico, però, non è solo futuro. L’incertezza su una possibile uscita dell’Ue sta già frenando la crescita britannica, che nel primo trimestre 2016 si è fermata allo 0,4%, contro 0,6% negli ultimi tre mesi dello scorso anno. E proprio dal settore tecnologico settore tecnologico di Londra si oppone in modo schiacciante la Gran Bretagna esce dalla UE, secondo un sondaggio di membri di Tech London Advocate, che rappresenta quasi 3.000 membri di alto livello del panorama tecnologico della capitale, l’87% è contrario Brexit, a causa di timori che lasciare l’Unione europea renderebbe più difficile per le aziende britanniche per raggiungere i clienti nei paesi dell’UE. Solo il 3% degli intervistati è a favore di Brexit, mentre il 10% è indeciso.
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