Il premier giapponese Shinzo Abe governa un Paese dove quasi l’8% della popolazione, oltre 10 milioni di persone, ha 80 anni e secondo le previsioni del National institute of population and social security research, nel 2040 gli over 65 saliranno al 36,1% della popolazione nipponica. Ma non solo. Abe ha appena approvato una riforma del mercato del lavoro che è un manifesto alla precarietà, un inno ai cosiddetti haken, che in Giappone comprendono anche tirocinanti e apprendisti, e una spada di Damocle sul futuro dei giovani del Paese, sacrificati in nome della possibilità di attrarre investimenti, anche stranieri.  Eppure, Abe, fresco di riconferma ufficiale alla guida dei Liberaldemocratici (Ldp) per altri 3 anni, crede di riuscire a risollevare il Paese, nonostante ad agosto sia tornato lo spettro della deflazione (l’indice dei prezzi al consumo ha segnato -0,1%). Come pensa di fare? La formula magica si chiama Abenomics 2.0

Abenomics 2.0 ha l’ambizioso obiettivo di portare il Prodotto interno lordo (Pil) nominale del Giappone a 600.000 miliardi di yen (pari a 5.000 miliardi di dollari) dai 490.000 miliardi circa nell’anno fiscale chiuso il 31 marzo 2015. Incassato il successo delle nuovi leggi sulla sicurezza, a danno dell’ultrapacifismo post bellico, Abe ha promesso il “rafforzamento” delle misure di politica economica visto che la crescita, con le incertezze internazionali a partire dalla Cina, sarà più contenuta sulle attese (il Fmi l’ha tagliata di 0,2% a solo +0,8% nel 2015 e confermata a +1,2% nel 2016).

I pilastri delle crescita, secondo il premier, sono tre: espansione economica, supporto all’educazione dei figli  e sicurezza sociale. Nel nuovo Giappone di Abe, anche se la popolazione invecchia ad un ritmo elevato, nessuno dovrebbe lasciare il lavoro per prendersi cura dei familiari anziani. Adesso, senza Abenomics, sono circa 100.000 i giapponesi che lo fanno. I servizi di welfare, per questa ragione, dovranno essere potenziati. La sfida è imponente. La fascia di popolazione che va dai 65 anni in su è cresciuta nel 2015 di 890 mila unità, ai massimi assoluti di 33,84 milioni, il 26,7% dei circa 127 milioni di giapponesi.

Il dato più sorprendente è la quota di persone in età lavorativa che, sempre nello stesso periodo, è salita a 6,81 milioni (+450.000 unità), in aumento per l’undicesimo anno di fila. A loro è dedicata la riforma del lavoro e Abenomics, la più imponente degli ultimi 30 anni. Le novità principali del provvedimento è il limite temporale d’impiego per chi viene assunto da un’azienda con contratto a termine. Ora la percentuale di lavoratori a tempo determinato è minoritaria – si calcola siano in totale circa 1,2 milioni di persone – ma il dato è destinato a crescere negli anni, anche perché oltre il 20% dei lavoratori giapponesi ha oltre 60 anni ed è prossimo alla pensione.

IDEE DI INVESTIMENTO

Una crepa nell’ottimismo nipponico e i primi dubbi sulla riuscita dell’Abenomics l’ha aperta Standard & Poor’s, l’agenzia di rating americana, che ha tagliato il giudizio sull’affidabilità creditizia del Giappone, portando il rating da “AA-” ad “A+”. “Nonostante le promesse iniziali, è improbabile che la strategia del governo riesca a invertire la dinamica dell’economia rispetto al suo deterioramento nei prossimi due o tre anni”, ha scritto l’agenzia in una nota. Il giudizio è arrivato dopo la decisione della Banca del Giappone (Boj) di confermare lo status quo nella politica monetaria, mentre gli economisti pensano che sia necessario un rafforzamento delle misure espansive.

Il ruolo della Boj è di giocare a favore della crescita economica, incrementando la base monetaria al ritmo di circa 80 mila miliardi di yen annui (quasi 600 miliardi di euro). L’inflazione, però, ha mancato le aspettative e la stessa BoJ ha già posticipato il timing previsto per raggiungere il target del 2% da fine 2015 al primo semestre del 2016.

In questo scenario, i fondi azionari che hanno in portafoglio il Giappone come mercato prevalente (Categoria Morningstar: Azionari Asia incluso Giappone) rendono ancora bene a tre anni, ma hanno incassato un duro colpo ad agosto con lo scoppio della bolla cinese.

Ecco i migliori fondi a 3 anni che hanno contenuto lo choc di Borsa provocato dalla svalutazione dello yuan, restando in terreno positivo da inizio anno.

  • Lemanik Sicav Asian Opportunity Cap Retail Eur a tre anni rende il 21,6%. Il fondo va a caccia delle migliori opportunità sul mercato di Tokyo e da gennaio a settembre 2015 rende l’8,71%
  • Cb-accent Lux – Far East Equity Fund Classe B Usd Industria e finanza sono i settori più pesanti in portafoglio. Il fondo rende il 17,5% a tre anni ed è denominato in dollari. Da Gennaio a settembre 2015 rende l’1,51%.
  • Acomea Asia Pacifico A1 rende il 15,9% a tre anni. Tecnologia e finanza sono i primi settori in portafoglio e da inizio anno ha un rendimento positivo del 3%.
  • Fidelity Pacific Fund Classe A (acc) Euro a tre anni rende il 14,8% investe principalmente in Giappone con una selezione attenta dei settori: tecnologia e finanza sono adesso i più presenti in portafoglio. Da gennaio a settembre guadagna lo 0,53%.

Note

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Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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