L’annuncio di un accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, che introduce un dazio generalizzato del 15% sulla maggior parte dei prodotti europei, rappresenta l’ultima tappa nella strategia protezionista del presidente Donald Trump. Una mossa che, pur allentando momentaneamente la tensione con Bruxelles, conferma un trend ben chiaro: l’America sta ridisegnando le regole del commercio globale a colpi di dazi. Per gli investitori retail, comprenderne le implicazioni non è mai stato così importante.

L’accordo Usa-Ue: tregua o nuovo fronte?

L’intesa siglata domenica 27 luglio 2025 con l’UE prevede un’aliquota unica del 15% su una vasta gamma di prodotti, tra cui auto e beni manifatturieri. Un passo avanti rispetto alle minacce di dazi al 25%, ma comunque un fardello pesante per industrie esportatrici come quella automobilistica tedesca. E non è tutto: le attuali tariffe del 50% su acciaio e alluminio resteranno in vigore, in attesa di un futuro sistema di quote.

Se da un lato Bruxelles rivendica di aver evitato il peggio, dall’altro è chiaro che il protezionismo statunitense è ormai sistemico. Non si tratta più solo di trattative tattiche, ma di una strategia economica fondata sul principio “America First”.

Una politica che rallenta la crescita globale

Secondo Bloomberg Economics, l’impatto della guerra commerciale di Trump potrebbe costare fino a 2.000 miliardi di dollari di PIL globale entro il 2027 rispetto a uno scenario privo di barriere tariffarie. Le aziende, dal Giappone al Messico, dagli USA al Vietnam, stanno già affrontando riallocazioni forzate delle catene di fornitura, aumento dei costi e sospensione degli investimenti.

In un contesto dove l’incertezza è diventata la nuova normalità, le imprese preferiscono rimandare progetti di espansione o migrare la produzione in Paesi meno esposti ai dazi. L’effetto domino sui mercati è evidente: meno investimenti significa crescita più debole, margini ridotti e maggiore volatilità.

L’effetto dazi sui mercati: resilienza con riserva

Curiosamente, i mercati finanziari sembrano aver accettato questa nuova realtà. Dopo le turbolenze di aprile, le Borse si sono stabilizzate, sostenute da una tenuta sorprendente dei consumi interni statunitensi e da utili aziendali in linea con le aspettative. Ma sotto la superficie emergono segnali d’allerta in America. General Motors, Tesla, per esempio, stanno già facendo i conti con costi più alti e margini compressi e la spesa dei consumatori mostra segni di affaticamento. Dopo la spinta post-pandemica, la tendenza nel 2025 è stata di stagnazione, con famiglie preoccupate per l’inflazione da dazi e un mercato del lavoro meno brillante.

Cosa aspettarsi nei prossimi mesi

Il quadro rimane altamente fluido. L’amministrazione Trump ha annunciato ulteriori tariffe a partire dal 1 agosto per i Paesi che non sigleranno accordi, con India, Brasile e Vietnam nel mirino. Alcuni di questi stanno negoziando per ottenere aliquote inferiori, ma l’incertezza è alta. Nel frattempo, la Cina, principale obiettivo della politica commerciale americana, mostra segni di rallentamento strutturale, aggravato dalla pressione sui suoi settori industriali più esposti alle esportazioni. E le merci cinesi respinte dal mercato Usa stanno cominciando a inondare altri mercati emergenti, con potenziali ricadute negative per i produttori locali.

Dazi: le conseguenze per gli investitori

Per chi investe, questo scenario impone alcune riflessioni chiave:

  1. Diversificazione geografica: evitare una concentrazione eccessiva in settori o aree esposte direttamente ai dazi Usa, come l’industria automobilistica europea o la manifattura asiatica.
  2. Occhio alla supply chain: privilegiare aziende che hanno una catena di fornitura già localizzata o facilmente riallocabile, con maggiore flessibilità operativa.
  3. Focus su mercati emergenti resilienti: alcuni Paesi come India e Indonesia potrebbero beneficiare del riorientamento delle catene produttive, diventando nuove destinazioni per gli investimenti globali.
  4. Asset reali e settori difensivi: in un contesto di incertezza cronica, aumentano l’attrattività di settori più stabili (per esempio, healthcare, utilities) e degli asset reali come le materie prime.

IDEE DI INVESTIMENTO

L’accordo tra Usa e Ue è un segnale chiaro: il protezionismo americano non è un fuoco di paglia, ma una politica economica coerente e strutturale. Anche se il peggio potrebbe essere stato evitato, l’incertezza resta alta, e le ricadute sull’economia globale sono ancora in divenire. Questo significa più prudenza, più analisi e più attenzione alla qualità degli asset in portafoglio. In un mondo dove i dazi decidono le sorti delle economie, non basta più guardare ai fondamentali: serve anche capire la geopolitica. E adattarsi in fretta.

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Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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