Maggio ha rappresentato un punto di snodo nella traiettoria dei mercati globali, sancendo l’avvio di una transizione ancora embrionale, ma ormai irreversibile, dal paradigma restrittivo a un contesto di graduale riapertura delle condizioni monetarie.
Le manovre delle banche centrali
La decisione della Banca Centrale Europea di ridurre il tasso principale di 25 punti base, portandolo al 2,15%, ha segnato la prima breccia concreta nell’architettura restrittiva eretta nel biennio precedente. Un’iniziativa solitaria all’interno del G10, che ha tuttavia assunto un valore simbolico potente, cristallizzando la svolta del ciclo.
- La Federal Reserve, da parte sua, ha mantenuto il proprio target invariato al 4,5%. Prolungando così la pausa strategica iniziata a dicembre, condivisa anche da Bank of England e Bank of Canada. La Reserve Bank of Australia ha optato per un taglio marginale al 3,85%, in un contesto di inflazione contenuta.
- Nei mercati emergenti, il disallineamento è stato più marcato: il Brasile ha proseguito il percorso di allentamento, mantenendo tassi nominali su livelli iperrestrittivi (15%). Mentre la Banca Centrale Russa ha confermato un’impostazione ultra conservativa con un tasso al 20%, a fronte di un’inflazione endogena persistente e tensioni geopolitiche strutturali.
Perché l’euro si è indebolito
Il mercato valutario ha reagito penalizzando l’euro, indebolitosi contro il 68% dei cambi bilaterali analizzati. Tra i peggiori movimenti si segnalano il rublo russo (-5%), la lira israeliana (-4%) e il rand sudafricano (-3%). Mentre i pochi apprezzamenti – marginali – sono avvenuti verso rupia indiana (+1%) e lira turca (+2%). Il cambio EUR/USD ha chiuso il mese sostanzialmente invariato, riflettendo una fase di attesa e l’assenza di discontinuità nei differenziali di rendimento.
- Più eterogenea ancora la dinamica del comparto materie prime dove il cacao ha guidato i rialzi con un +10%, mentre il caffè ha subito un crollo del 15%, in un contesto segnato da fattori climatici e logistici imprevedibili. L’energia ha espresso segnali contrastanti: il gas naturale statunitense ha guadagnato il 4%, mentre la sua variante corretta ha ceduto il 7%. La media dei rendimenti è risultata neutra, ma con una dispersione significativa, a testimonianza dell’assenza di driver sistemici e della dominanza di fattori idiosincratici.
Ritorna il premio al rischio sul mercato azionario
Il mercato azionario globale ha archiviato il mese con una netta propensione al rischio: il 93% degli indici mondiali ha registrato performance positive, con un rendimento medio del 4% e una dispersione contenuta. A trainare il rally sono stati l’ISEQ irlandese (+10%), il Nasdaq 100 (+9%) e la Borsa di Atene (+8%), in un contesto di ritorno dell’ottimismo macro e solidità degli utili. L’allentamento monetario e l’affievolirsi della narrativa inflazionistica hanno riacceso l’appetito per il rischio, ma in maniera tutt’altro che omogenea. A dominare il campo è stata la selettività.
- L’Europa sviluppata ha brillato, complice la mossa della BCE che ha catalizzato l’interesse verso gli asset domestici. I fondi azionari italiani – in particolare quelli orientati al segmento value e mid cap – hanno realizzato progressi superiori all’8%, seguiti da Austria e Paesi iberici, con guadagni attorno al 7%. La Germania ha consolidato un solido +6%, beneficiando dell’inversione di sentiment e della scommessa su una ripresa della domanda interna.
- Sull’asse asiatico si sono distinti due attori inattesi. Corea del Sud e Taiwan, che hanno capitalizzato il rimbalzo del settore semiconduttori con performance rispettivamente dell’11% e del 15%. Il Giappone ha mantenuto un passo coerente con il contesto costruttivo, mentre la Cina ha continuato a deludere. L’intero universo Greater China – incluso Shanghai e Shenzhen – ha oscillato tra il +3% e il -8%, appesantito da dati macro inconsistenti e da una fiducia internazionale ancora fragile.
- Gli emergenti hanno offerto un quadro più sfumato. L’America Latina ha chiuso in positivo (+5%) sostenuta da utili resilienti e da flussi in ingresso stabilizzati, mentre Brasile (+2%) e Africa-Medio Oriente (flat) hanno evidenziato una resilienza solo parziale. Europa emergente e frontier markets si sono attestati su livelli modesti, in assenza di catalizzatori convincenti.
- Negli Stati Uniti si è materializzata una dicotomia esasperata. Le strategie growth, in particolare su large e mid cap tech, hanno beneficiato di flussi consistenti (+9%), mentre le controparti value, soprattutto mid e small, hanno accusato flessioni fino all’11%, zavorrate da rotazioni settoriali penalizzanti. Le versioni con copertura valutaria hanno confermato il profilo positivo, ma il delta tra stili evidenzia con chiarezza una polarizzazione estrema degli investitori.
L’universo tematico ha consolidato il suo ruolo di driver strutturale
Robotica e intelligenza artificiale hanno messo a segno rialzi del 10%, seguiti dai fondi IT globali e industriali, entrambi intorno al 9%. Decisamente più opaca la performance del farmaceutico, in negativo su tutte le aree, con le strategie biotech in flessione del 3%. I comparti ESG hanno mostrato esiti disomogenei: positivi quelli euro (+5%), ancora sottotono gli emergenti.
In sintesi, la narrativa di maggio ha riportato il rischio al centro della scena, ma con una selettività che non ammette disattenzioni: la chiave della sovraperformance è stata la capacità di intercettare i focolai di innovazione e le aree più reattive alla nuova geografia della liquidità.
Obbligazioni: quadro è moderatamente favorevole ma selettivo
Le obbligazioni convertibili europee hanno registrato ritorni superiori al 2%, con punte oltre il 5% nel segmento asiatico, in virtù della correlazione positiva con l’equity. Gli high yield globali si sono avvantaggiati della compressione degli spread e del clima risk-on, attestandosi tra l’1% e il 2%. Le strategie denominate in valute nordiche hanno beneficiato del rafforzamento dei cambi e di un’inflazione in rallentamento, mentre i fondi globali governativi e investment grade hanno galleggiato sulla parità, frenati da curve piatte e tassi reali ancora elevati.
Negli emergenti, i fondi in valuta forte si sono mantenuti stabili, ma le esposizioni in valuta locale e il credito corporate hanno sofferto per l’incertezza macro e per un dollaro ancora strutturalmente forte. Le inflation linked, infine, hanno subito l’effetto di un marcato calo delle aspettative inflattive, chiudendo in rosso.
Risparmio gestito: vince la diversificazione
I fondi a ritorno assoluto hanno offerto un contributo concreto alla stabilità dei portafogli multi-asset. Oltre l’88% degli indici FIDA ha chiuso in territorio positivo, con le strategie multi-asset dinamiche a +3% e quelle long/short e market neutral tra l’1% e il 2%. I fondi a bassa volatilità hanno confermato la loro funzione protettiva, mentre le versioni ad alta volatilità hanno evidenziato comportamenti più erratici. In difficoltà, invece, i fondi macro globali e quelli su commodity, penalizzati dalla scarsa leggibilità dei trend direzionali.
I fondi flessibili e diversificati hanno ben interpretato la ripresa del rischio sistemico: le strategie aggressive hanno reso tra il 3% e il 5%, quelle più conservative tra l’1% e il 2%, mentre i fondi euro-aggressivi si sono distinti con un robusto +4%. L’esposizione mirata all’azionario globale ha premiato in particolare i prodotti denominati in valute forti. Ancora debole il contributo dei fondi emergenti su base YTD, nonostante il rimbalzo mensile. Il profilo di rendimento medio, vicino al 3%, con bassa dispersione, conferma l’efficacia di una gestione flessibile, capace di capitalizzare il miglioramento del sentiment senza eccessi di leva.
IDEE DI INVESTIMENTO
Guardando oltre maggio, l’orizzonte resta nebuloso. Le politiche monetarie rimangono il baricentro della narrazione: la BCE potrebbe proseguire nei tagli, mentre la Fed, ancora cauta, si muoverà solo a fronte di conferme macro convincenti. Le tensioni commerciali e i nuovi dazi statunitensi aggravano un clima già saturo di incertezza, mentre la calendarizzazione elettorale europea e le spinte protezionistiche ridefiniscono equilibri delicati.
In tale scenario, settori come difesa, infrastrutture, utilities e servizi finanziari si candidano a presidi difensivi di lungo corso. La vera discriminante sarà la capacità di filtrare il rumore, identificare i vettori di crescita sostenibile e posizionarsi chirurgicamente sulle faglie del cambiamento. Perché la nuova normalità è la frammentazione. E l’unico lusso che il mercato non concede più è l’improvvisazione.
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