Cresce il dibattito sugli effetti dannosi per la salute delle sigarette elettroniche, le cosiddette e-cig. Bannate in alcuni Paesi emergenti come l’India, riscuotono ancora consensi in Europa, ma cominciano a perdere terreno in America. Salutari o dannose? Per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) servono regole più stringenti per questo mercato perché i vari studi scientifici sul tema al momento non dimostrano quali siano gli effetti a lungo termine e anche se il contenuto di nicotina e catrame è inferiore rispetto a una sigaretta fatta con il tabacco, danno comunque dipendenza. Il dibattito adesso però è più acceso dopo che negli Stati Uniti, alla metà di ottobre 2019, è scoppiata una strana epidemia polmonare legata all’utilizzo delle e-cig. La patologia ha colpito oltre 1.500 persone e ha causato 33 decessi colpendo persone di tutte le età, adolescenti compresi. Per il momento non c’è un vero colpevole per questo focolaio di infiammazione: non si fanno nomi di aziende produttrici o di particolari e-cig ma sotto accusa sono finiti genericamente i liquidi contenti nelle sigarette elettroniche.

In seguito al caso americano anche in Italia il dibattito si è acceso: l’Istituto superiore della sanità (ISS) ha diramato un’allerta 2 sulle sigarette elettroniche (il massimo livello di allerta è 3) invitando Regioni e Ministero della Salute a vigilare sul tema. Nonostante i dubbi evidenti sugli effetti delle e-cig per la salute il mercato continua a crescere: nel 2018 le sigarette elettroniche hanno avuto un giro d’affari di vendite al dettaglio a livello globale di oltre 40,6 miliardi di dollari, contro i 713,7 miliardi di dollari delle sigarette tradizionali, secondo Euromonitor International. Ma il mercato delle e-cig cresce molto più velocemente: a livello globale, le vendite al dettaglio sono cresciute del 35% dal 2017 al 2018, rispetto al solo 3,1% per le sigarette di tabacco.

Per gli analisti di Wells Fargo il caso dell’epidemia polmonare americana potrebbe fermare la corsa delle sigarette elettroniche a vaporizzazione e ridare forza ai titoli del tabacco e orientare il mercato delle e-cig in un’altra direzione. I dati Euromonitor mostrano già la tendenza in atto: che il tasso di crescita dei dispositivi che non bruciano – per esempio la IQOS di Philip Morris che utilizza tabacco secco e non brucia – è stato del 106% tra il 2017 e il 2018 mentre quello dei prodotti che usano il vapore è cresciuto del 34% nello stesso periodo. E secondo l’analisi di Well Fargo sono proprio le multinazionali del tabacco a voler approfittare di questo cambio di direzione del mercato. Reynolds American ha appena presentato Vuse che è un concorrente di IQOS di Philip Morris e Altria, che distribuisce il marchio Marlboro negli Stati Uniti, e ha investito oltre 13 miliardi nella cinese Juul, leader del mercato della e-cig a vapore, pensa di cambiare rotta puntando su un prodotto che utilizza il tabacco da Copenhagen.

IDEE DI INVESTIMENTO

Gli Stati Uniti sono il primo mercato mondiale delle sigarette elettroniche con volume di vendite pari a 4,8 miliardi di dollari, secondo lo studio Il settore del vaping in Europa, elaborato dal Centro per gli studi Monetari e Finanziari (CASMEF) dell’Università Luiss Guido Carli, in collaborazione con British American Tobacco (BAT) Italia, ma è l’Europa il mercato più in crescita: secondo le stime il mercato europeo potrebbe valere 7 miliardi di euro entro il 2025. I Paesi europei in cui si registra il maggior consumo di e-cig sono Regno Unito, Germania, Polonia, Francia e Italia. L’Europa è già oggi  il secondo mercato mondiale per la sigaretta elettronica dopo gli Stati Uniti.
La sigaretta elettronica è una delle invenzioni tecnologiche che per molto tempo sono state considerate una buona alternativa al fumo della sigaretta tradizionale e quasi alla pari di un dispositivo che invogliasse a smettere del tutto di fumare. I numeri del mercato e dell’utilizzo stanno dimostrando il contrario e ora il dibattito si è spostato sui danni per la salute.

La tecnologia resta, in ogni caso, uno dei temi chiave che guidano oggi il mercato della salute e la costruzione dei portafogli dei gestori che puntano sulla salute e il benessere delle persone selezionando storie di innovazione in tutti i settori: dalla farmaceutica alla genomica fino alla medicina predittiva (Categoria Morningstar Settore Azionari Biotech).

La Top 10 dei fondi azionari che investono in biotecnologia

ProdottoRendimento YTDRendimento 3y
CS Investment Funds 2 - CS (Lux) Global Digital Health Equity Fund B USD Acc15,02%---
Selectra J. Lamarck Biotech Class A 12,82%10,44%
Candriam Equities L Biotechnology Classe C Eur Acc12,49%6,21%
Pictet - Biotech Classe R Eur11,90%3,93%
Janus Henderson Horizon Biotechnology IU2 USD Acc8,22%---
Zeus Capital SICAV DNA Biotech B Acc7,91%4,75%
Franklin Biotechnology Discovery Fund Classe A USD Acc6,09%0,91%
Polar Capital Funds PLC - Biotechnology Fund S Inc (EUR)5,00%8,56%
UBS (Lux) Equity Fund - Biotech (USD) P-acc4,16%4,37%
SEB Concept Biotechnology Fund C3,92%-2,80%
Nella tabella, i migliori fondi azionari che investono in biotecnologia ordinati per rendimento da gennaio 2019. Dati in euro aggiornati a ottobre 2019. Fonte: Morningstar.

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Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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