Marzo si è appena concluso con buone performance in generale, anche se lievemente inferiori a quelle del mese precedente. Gli obbligazionari mediamente hanno dato più soddisfazioni degli azionari. Le ultime settimane hanno visto primeggiare gli azionari asiatici, e non solo cinesi: India, Indonesia e Taiwan la fanno da padroni. Niente male anche l’equity africano e russo. Tra le borse europee Milano è la migliore, avanzando del 3% su base mensile. Le altre piazze, invece, non si discostano molto dalla parità. Negli Usa corrono i titoli tecnologici, trascinando il Nasdaq (+4%), mentre lo S&P 500 segue a distanza (+2%) e gli industriali stazionano. In rosso troviamo la Turchia e le piazze scandinave.

L’euro complessivamente si deprezza, cedendo l’1.65% contro Yen e l’1.34% contro dollaro Usa. L’apprezzamento del dollaro si riflette sul mercato obbligazionario, dove gli asset esposti al biglietto verde primeggiano, con i corporate ed i governativi quasi allo stesso livello. Le obbligazioni dell’Eurozona o coperte in euro fanno invece da fanalino di coda, ma si muovono comunque in terreno positivo. In generale, l’impostazione è particolarmente positiva per i bond a lungo termine mentre è neutrale rispetto al livello di rischio.
Il primo trimestre del 2019 si archivia quindi con un complessivo recupero di buona parte degli asset. Sul risparmio gestito le migliori performance da inizio anno riguardano gli azionari cinesi e americani, nonché alcune specificazioni settoriali legate a ricerca e sviluppo ed all’immobiliare Usa.

Ci troviamo quindi in una congiuntura particolarmente positiva per i mercati, che può essere sfruttata ottimamente per alleggerire i portafogli che necessitano di qualche ribilanciamento strategico. Anche la volatilità, esplosa a fine 2018, si sta riavvicinando ai livelli minimi degli ultimi dieci anni, preparando un’occasione di acquisto della stessa in vista di tempi che promettono qualche turbolenza, legata principalmente all’evolversi delle vicende della Brexit, ma non solo.
Nelle ultime settimane si parla sempre più insistentemente dell’inversione della curva dei tassi avvenuta dopo l’ultima riunione della Fed, quando i rendimenti dei treasury a 3 mesi sono saliti al 2,45% e quelli a 10 anni sono scesi al 2,43%. Sostanzialmente i tassi a breve sono diventati più alti di quelli a lunga scadenza, segno che gli operatori stimano un’inflazione attesa sempre inferiore nel lungo periodo. La circostanza storicamente preannuncia una recessione nel breve-medio termine, mediamente dopo diciassette mesi.

Ad onor del vero per ora la curva è invertita limitatamente ad un tratto molto breve, infatti i treasury a due anni rimangono ancora meno performanti dei decennali, anche se la forbice va riducendosi. Non si esclude che, a salvare questo importante tratto di curva, sia stata la Fed annunciando lo stop alla riduzione del bilancio. C’è da scommettere che la Banca centrale sia fortemente determinata a ripristinare la forma naturale della curva dei tassi, e qualcuno ipotizza che sia addirittura disposta ad abbassare il costo del denaro pur di ridimensionare i tassi a breve.
I fondamentali macroeconomici, con particolar riferimento alla prima potenza mondiale, sono ancora solidi e soprattutto non denunciano tensioni, surriscaldamenti né crolli. L’enorme massa di liquidità ancora in circolo contribuisce in misura significativa alla deformazione della curva, e probabilmente rende molto meno affidabile l’inversione come segnale di una prossima recessione. Tuttavia un investitore prudente non può ignorare il fatto, e deve saper stimare quanto il proprio portafoglio è sensibile ad ogni possibile evento avverso.

Come noto, in una recessione gli asset più colpiti sono in generale gli azionari esposti a settori ciclici, come i beni di consumo secondari ed in particolare l’automotive. Se la Fed dovesse realmente ritornare sui suoi passi e tagliare il costo del denaro ci si attende un deprezzamento del dollaro contro le altre valute ed un incremento delle quotazioni dell’oro e dello Yen. Una ritracciamento dei mercati Usa trascinerebbe con sé Paesi emergenti ed Europa, dove lo spazio di manovra è limitato ad un nuovo QE, con beneficio dei titoli di Stato.
Per ora ovviamente i mercati sono ancora orientati al rialzo, ma il momento è buono per ridimensionare l’esposizione ad alcune fonti di rischio, senza per questo rinunciare totalmente a godere del proseguimento del rally.

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Note

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Luca Lodi

Luca Lodi

Competenze:
Head of R&D di FIDA, Finanza Dati Analisi, ha maturato competenze in quantitative finance, risk management, asset allocation, risparmio gestito, compliance, consulenza finanziaria e comunicazione. Coordina le attività di ricerca-sviluppo e formazione del gruppo (FIDAmind). Sviluppa metodologie quantitative per l'analisi di portafoglio, di strumenti e mercati finanziari.

Esperienza:
Coordina l’ufficio studi FIDA che realizza studi ed analisi ad ampio spettro utilizzando trasversalmente metodologie quantitative, tecniche e fondamentali. Docente presso l'Università di Torino (Scuola di Management ed Economia), si occupa di analisi quantitativa dei dati finanziari. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate editoriali.
Negli anni precedenti ha collaborato con ADB S.p.A come responsabile del settore Banche Dati e poi dell’Ufficio Studi.

Formazione:
Ha una laurea in Economia. Ha frequentato diversi corsi di specializzazione tra i quali “Global Asset Allocation” (SDA Bocconi), Frontiers In Fianancial Markets Mathematics (Università di Bologna).

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