Milioni di manifestanti climatici sono scesi nelle piazze di tutto il mondo per chiedere un’azione coordinata ai leader mondiali riuniti in occasione del vertice dell’azione per il clima delle Nazioni Unite (ONU). Il simbolo di questa protesta è la giovane attivista Greta Thumberg che nel suo discorso all’Onu si è fatta portavoce di un atto di denuncia che poi è diventato una atto ufficiale firmato dai lei stessa e da altri 16 giovani presentata al Comitato dell’Onu sui diritti dell’infanzia.
La denuncia è stata siglata da ragazzi tra gli 8 e i 17 anni provenienti da 12 paesi contro cinque potenze: Argentina, Brasile, Francia, Germania e Turchia che, secondo i firmatari, sono incapaci di affrontare la crisi climatica e questo costituisce una violazione dei diritti dei minori. Per questo Greta e i giovani firmatari esortano l’organismo indipendente di ordinare ai Paesi inadempienti ad agire per proteggere i bambini dagli impatti devastanti dei cambiamenti climatici.
La protesta, che ha scatenato una tempesta sui social di tutto il mondo, è arrivata proprio nel momento in cui le Nazioni Unite hanno rilasciato un nuovo rapporto sul clima dal titolo Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate che definisce “una crisi esistenziale” cambiamenti già prodotti su oceani e ghiacciai con danni ormai permanenti. I mari stanno crescendo più velocemente, diventando più caldi e più acidi di quanto precedentemente previsto, afferma il rapporto, mettendo in pericolo quasi tutto ciò che esiste. In sostanza, il rapporto afferma che anche se sono stati spesi migliaia di miliardi di dollari sia per rallentare il riscaldamento globale, sia per prevenire i cambiamenti già in arrivo, sono già stati fatti danni che non possono essere annullati.
Il pessimismo dei ricercatori dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico che si è formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, allo scopo di studiare il riscaldamento globale,è bilanciato dallo studio The Ocean as a Solution for Climate Change: 5 Opportunities for Action a cura di High-Level Panel for a Sustainable Ocean Economy che trova una possibile soluzione partendo proprio dal problema. Secondo il report, proprio negli oceani minacciati dai gas a effetto serra che ne riducono gli stock ittici e ne aumentano l’acidificazione, si possono trovare soluzioni contro il cambiamento climatico. Potrebbero, infatti, contribuire fino a un quinto (21%, ovvero 11 Gigatonnellate di CO2) dei tagli annuali delle emissioni di carbonio necessarie entro il 2050 per limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi.
Le cinque azioni indicate dagli esperti di High-Level Panel for a Sustainable Ocean Economy incaricati dello studio da 14 Paesi già impegnati nell’applicare soluzioni (Australia, Canada, Cile, Figi, Ghana, Indonesia, Giamaica, Giappone, Kenya, Messico, Namibia, Norvegia, Palau e Portogallo) – vanno dall’aumento dell’energia rinnovabile basata sugli oceani alla decarbonizzazione del trasporto marittimo e delle infrastrutture portuali e turistiche. Tra le soluzioni che possono trovarsi nel mare c’è la protezione e il ripristino degli ecosistemi che possono catturare carbonio, per esempio mangrovie e paludi salmastre, e lo stoccaggio del carbonio nei fondali marini. Non mancano poi indicazioni su come sfruttare la fauna marina a livello nutrizionale: l’ideale è una dieta basata su elementi a basse emissioni di carbonio, per esempio i frutti di mare e le alghe marine, che sono definiti un cibo sano e sostenibile.
IDEE DI INVESTIMENTO
Per frenare il cambiamento climatico che molto dipende dai danni già fatti su oceani e ghiacciai serve sviluppare un’economia sostenibile, proteggendo le comunità costiere dalle tempeste e migliorando la sicurezza alimentare. Il tema è la riduzione delle emissioni di Co2 ed è una battaglia che il risparmio gestito combatte da tempo con prodotti cosiddetti Low Carbon, ovvero a basso rischio carbone. Secondo l’analisi di Morningstar per essere definiti fondi Low Carbon il Carbon risk score, ovvero il punteggio riferibile al carbone in portafoglio deve essere inferiore al 10% e il Fossil Fuel Involvement, ovvero il coinvolgimento di combustibili fossili, non deve superare il 7% degli asset totali. Solo in questo modo i fondi possono ottenere la definizione di Low carbon, che non è un rating ma può aiutare gli investitori a identificare i fondi che piacerebbero anche a Greta Thunberg.
Per investire in maniera globale per meglio diversificare il rischio sui fondi Low Carbon al momento sul mercato italiano la scelta si limita ai fondi azionari. Non esistono, infatti, secondo l’analisi di Morningstar, fondi obbligazionari globali che possono essere definiti Low Carbon.
La Top Ten dei fondi Azionari globali Low carbon
Prodotto | Rendimento YTD | Rendimento 1y |
---|---|---|
TCW Global Pre Esg Eq AU Acc | 33,66% | 17,48% |
Seilern World Growth USD H R | 32,80% | 20,05% |
Lemanik Sicav World Daytona Eur | 30,94% | 14,98% |
Pictet – Global Environmental Opportunities - R EUR | 30,91% | 11,99% |
Heptagon WCM Global Equity A USD Acc | 30,64% | 17,91% |
Nordea 1 Global Opportunity Fund Classe BP Eur | 30,54% | 15,37% |
Brown Advisory Global Leaders B USD Acc | 29,18% | 16,02% |
Nomura Fds Global High Conviction A USD | 29,00% | 14,74% |
AB SICAV I Concentrated Global Equity Portfolio Classe A | 28,85% | 13,15% |
Guinness Global Innovators X EUR ACC | 28,84% | 10,03% |
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Note
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