Il 6 luglio 2018 è una data da segnare con il circoletto rosso sul calendario macroeconomico. Perché indica la fine della tregua commerciale tra Stati Uniti e Cina. Donald Trump non ha mollato la presa: nonostante il ruolo fondamentale di Pechino nella preparazione dello storico vertice con Kim Jong-un, il presidente americano ha annunciato che dal 6 luglio partono nuovi dazi del 25%, per un valore di 50 miliardi di dollari, sulle merci cinesi ad alto contenuto tecnologico. La ragione? Il presidente americano vuole prevenire il furto di tecnologia made in Usa, ma soprattutto vuole riequilibrare un deficit di 375 miliardi di dollari. La Cina non è rimasta a guardare. E per il 6 luglio sono attesi i contro dazi di Pechino contro i prodotti Usa di uguale forza e impatto.

La guerra commerciale annunciata da Trump nella primavera del 2017 criticata da economisti e grandi investitori, come George Soros e Jim Rogers, capaci di navigare su tutti i mercati, è ormai la nuova economia con cui le aziende globali devono fare i conti. Perché a parole nessuno vuole una guerra commerciale, ma ognuno vuole salvaguardare i propri interessi. Così tutti risultati raggiunti finora attraverso i negoziati sino-americani sono da considerarsi nulli, anche l’importante pacchetto per l’acquisto di prodotti agricoli ed energetici americani per un valore di 70 miliardi di dollari. E la partita dei dazi si gioca anche a Bruxelles che si prepara alla rappresaglia per i dazi americani su acciaio e alluminio – imposto da Trump anche a Canada e Messico – con una serie di contromisure sulle eccellenze del Made in Usa che vanno dalle moto Harley Davidson ai jeans Levi’s.

Un contesto macroeconomico come questo minaccia di rallentare la crescita globale e deprimere le Borse che, per il momento, hanno contenuto le perdite intorno all’1% con un contraccolpo tutto sommato prevedibile. L’azione di Trump non trova precedenti di tale intensità, almeno nel recente passato. Gli analisti di mercato fanno fatica a trovare situazioni paragonabili nelle politiche protezionistiche adottate dai precedenti presidenti americani:

  • La prima decisione americana contro il libero mercato risale a quasi 50 anni fa quando il presidente Richard Nixon, che sarebbe stato poi travolto dallo scandalo Watergate, nel Ferragosto del 1971, prima impedì alle banche centrali straniere di convertire le loro partecipazioni in dollari in oro, poi impose dazi del 10% sulle importazioni e, tre anni dopo, inasprì i dazi contro il Giappone.
  • C’era il Giappone anche nel mirino di Ronald Reagan, il presidente più liberista degli Stati Uniti e a cui Trump dice di ispirarsi, che nel 1981 impose una forma di protezionismo colpendo le importazioni di auto giapponesi. In questo modo Reagan costrinse la Toyota ad aprire fabbriche negli Stati Uniti e assumere operai americani.
  • L’ultimo presidente americano a tentare la strada dell’America’s First è stato George W. Bush nel 2002, che varò tariffe protezionistiche sulle importazioni d’acciaio dall’8% al 30%. L’Unione Europea allora fece ricorso al Wto, l’organizzazione che regola i commerci internazionali, che costrinse Bush a ritirare i dazi.

Per gli analisti di Morgan Stanley a soffrire di più per i dazi rischia di essere proprio il sistema imprese americano che sta trainando la ripresa Usa e non si aspettava l’avvio di una vera guerra commerciale globale. L’escalation sembra ormai inevitabile e segna, di fatto, la vittoria dei “falchi” nell’amministrazione americana: il rappresentante per il commercio Robert Lighthizer e il consigliere commerciale Peter Navarro. Esce sconfitta invece la “colomba” Steve Mnuchin, il segretario al tesoro che aveva firmato la tregua e la sospensione di ogni dazio quando i negoziati erano in corso e l’obiettivo era ridurre il disavanzo commerciale Usa.

IDEE DI INVESTIMENTO

La guerra tra Stati Uniti e Cina è soprattutto tecnologica. Trump vuole colpire i prodotti legati al piano strategico Made in China 2025 per dominare l’industria hi-tech che guiderà la futura crescita economica della Cina ma che, secondo Trump, potrebbe danneggiare la crescita economica degli Usa e di molti altri Paesi. I nuovi dazi Usa infatti riguardano oltre 1100 categorie di merci cinesi (settori aerospaziale, automobilistico, macchinari industriali, tecnologia informatica e robotica) ma non i prodotti più acquistati dai consumatori americani (telefonini e tv).
Secondo il consensus degli analisti sentiti da Bloomberg, lo scontro Cina- Usa è una guerra di logoramento: la Cina ha mostrato la volontà di concludere un accordo per ridurre il surplus commerciale con gli Stati Uniti, ma ha chiarito che non si piegherà alle richieste di abbandonare la sua politica industriale volta a dominare la tecnologia del futuro. Il commercio è solo un modo per contenere la scalata della Cina nel mercato della tecnologia per Alicia Garcia Herrero, capo economista Asia-Pacifico di Natixis, ma la Cina risponderà cercando di costruire legami con altre nazioni e acquistando tecnologia da un’altra parte. I piani di Pechino non sono facili da fermare per Goldman Sachs che punta decisamente sullo sviluppo della tecnologia meda in China per tre ragioni chiave:

  • La spesa in ricerca e sviluppo della Cina ha superato quella di Giappone e Unione Europea e potrebbe presto superare anche gli Stati Uniti.
  • Dal 2000 in avanti numero di nuovi brevetti in Cina è cresciuto dal 2000 a un tasso più rapido che in qualunque altra area del mondo.
  • I consumi domestici legati allo stile di vita dei consumatori cinesi ha portato una crescita significativa della spesa per prodotti tecnologici e oggi vale il 12% della spesa mondiale.

A spingere la voglia di Cina c’è anche un fattore tecnico: dal primo giugno 2018, le azioni cinesi di tipo A – emesse da società costituite in Cina e quotate a Shanghai e sulla Borsa di Shenzhen, e finora disponibili solo a gli investitori cinesi – sono entrate nell’MSCI Emerging Markets Index, il benchmark utilizzato dai fondi di investimento globali per la composizione del loro portafoglio di investimento.

Per puntare su un fondo azionario mercati emergenti che ha scelto di dare un peso importante al mercato cinese (Categoria Morningstar: Azionari Paesi Emergenti):

I migliori fondi azionari mercati emergenti che hanno puntato sulla Cina

ProdottoPeso % Cina
in portafoglio
Rendimento 1yRendimento 3y
Principal Origin Glb Em Mkts I Acc GBP46,18%9,77%31,54%
Allianz GEM Equity High Div CT EUR36,73%7,66%14,58%
Lazard Developing Markets Eq A Inc EUR36,37%12,21%22,03%
AB SICAV I Emerging Mkts Eq I USD Acc36,30%7,83%14,07%
Vontobel mtx Sustainable Emerging Markets Leaders Classe B Usd35,87%12,78%24,54%
Oaktree (Lux) Fds - Em Mkts Eq CB USD35,63%---16,48%
Deutsche Invest I Global Em Mkts Eqs FC34,32%10,12%21,59%
Artemis Global Emerging Mkts I Acc GBP33,99%---22,80%
Amundi Funds Equity Emerging Internal Demand Classe Su33,63%5,89%16,09%
LO Funds Emerging Hi Convc USD MA33,60%8,47%21,46%
Vitruvius Emerging Markets Equity B USD33,47%6,16%17,50%
Investec Emerging Markets Equity Usd Classe A Acc33,29%6,01%20,72%
Candriam Eqs L Em Mkts C EUR Cap33,19%9,83%25,55%
AB FCP II Emerging Markets Val S1 Acc32,79%6,67%11,11%
State Street Em Mkts Sel Eq P EUR32,43%5,56%16,39%
Nella tabella, i migliori fondi azionari mercati emergenti ordinati per peso in portafoglio verso la borsa della Cina. Fonte: Morningstar Direct. Dati di performance % in euro a un anno e tre anni annualizzati.

Per puntare direttamente sulla crescita della Cina (Categoria Morningstar: Azionari Cina):

La top ten dei fondi azionari Cina

ProdottoRendimento 3yRendimento YTD
UBS (Lux) EF China Oppo (USD) P18,50%3,39%
Neuberger Berman China Equity USD A Acc14,38%4,15%
Vontobel mtx China Leaders Classe B13,90%0,42%
GAM Multistock - China Evolution Equity USD B12,89%-0,66%
Invesco China Focus Equity Fund Classe E Eur11,73%-2,74%
Janus Henderson Horizon Fund - China Fund Usd Classe A2 Acc10,80%-0,37%
Lfp Jkc China Value Classe P Eur10,24%1,93%
Schroder International Selection Fund China Opportunities C Accumulation USD8,90%0,20%
Edmond de Rothschild Fund - China A EUR9,23%0,54%
Fidelity China Focus E-ACC-Euro8,61%-0,36%
Nella tabella, i migliori fondi azionari che investono sulla Cina ordinati per rendimento da marzo 2015 a marzo 2018. Fonte: Morningstar.

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Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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